L’ancelottizzazione del Napoli, in fondo, non è
così complicata. È arrivato al Real raccogliendo il
testimone da Mourinho, è arrivato al Bayern prendendo per
mano gli orfani del padre fondatore del tiki-taka, Guardiola: che
volete che sia, per Carletto mettersi alle spalle Maurizio Sarri?
Lo sta facendo in punta di piedi, senza proclami o azzardi. Con la
Lazio si è affidato al blocco azzurro degli ultimi anni, con
pochissimi ritocchi e poggiando quasi per intero il suo gioco sulle
vecchie idee e sul 4-3-3. Lui non deve dimostrare niente a nessuno
e sa che c’è tempo per imporre il suo pensiero. E che
prima o poi lo farà: «Devo migliorare le cose buone
fatte dal mio predecessore – dice – e se non sono rimasto a casa
è perché penso che si possa fare».
Per spiegare il primo Napoli di Ancelotti visto all’Olimpico
è sufficiente una solo concetto: buon senso. Il suo modulo
di riferimento è stato quello con cui la squadra ha giocato
negli ultimi tre anni. Nessuna rivoluzione, cose semplici e fiducia
nei singoli: è la saggezza che gli deriva
dall’esperienza di chi ha navigato in mari di ogni tipo. Contro
l’entusiasmo della Lazio, ha contrapposto un calcio semplice.
Per lui è valsa la regola dell’incudine e del martello:
ha fatto aspettare il Napoli con pazienza (che non significa con
rassegnazione) e ha poi attaccato con coraggio.
Prendendo in pugno la gara. Del possesso finale, a lui, non importa
nulla. È stato un caso. 61% a 39%. Non perderà un
solo secondo su questo dato, che per lui conta zero.
From: Il Mattino.