Capiremo nelle prossime settimane se il Napoli è riuscito a fare il Passo in avanti. La vittoria sulla Lazio – vincitrice del trofeo 2019 – e la qualificazione alla semifinale di Coppa Italia (l’avversaria sarà la vincente di Inter-Fiorentina) incoraggiano le speranze di chi ha penato troppo in questa stagione. Si è riaccesa la fiamma, il Napoli ha vinto con coraggio e sofferenza e ha ritrovato la sua gente. Complimenti a Gattuso per avere risistemato tatticamente la squadra e averla guidata con sicurezza a un importante obiettivo. Compattezza tattica e ambientale hanno ridato fiato al Napoli, lo stesso Napoli inguardabile di sabato scorso. Non esistono i miracoli: sono il lavoro, la concentrazione e il sacrificio a determinare i miglioramenti. E un po’ di fortuna, perché no? Tanti rischi, tra pali, un rigore sbagliato e gol annullati. Un infinito batticuore.
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Fin dalle prime battute è stata una notte di grandissime emozioni, in 22’ è accaduto di tutto: il gol di Insigne, che con un colpo di classe ha superato Luis Felipe e ha affondato Strakosha; il rigore fallito da Immobile; le espulsioni di Hysaj – disastroso – e Lucas Leiva. Ma è stato soprattutto il Napoli a rendere affascinante la sfida di Coppa Italia, dopo la penosa prestazione e la pesante sconfitta contro la Fiorentina, che ha fatto scivolare ulteriormente in classifica gli azzurri (il vantaggio sulla terz’ultima si è ridotto a 9 punti) e ha provocato l’ennesima turbolenza nello spogliatoio di Castel Volturno. Forse Gattuso ha trovato le parole giuste, forse – e finalmente – vi è stato un moto di orgoglio, certo è che il Napoli era completamente differente rispetto a quello visto sabato, giocando peraltro anche in un ambiente completamente differente perché i gruppi organizzati hanno sospeso lo sciopero contro la società e sono tornati sugli spalti, alzando la voce. Il Napoli sembrava la Lazio nel primo tempo: una squadra bene organizzata ed efficace, padrona del gioco e lucida. D’un colpo, sembravano svanite le ansie che accompagnano gli azzurri dall’inizio di questa stagione. Dal match di Champions contro il Liverpool non si vedeva una squadra così tonica. La Lazio si è trovata in difficoltà com’era accaduto anche in campionato all’Olimpico. Manovra sciolta, favorita dalla presenza del play Demme, lineare ed efficace nelle giocate (al suo fianco ha giocato per 22’ Lobotka finché Gattuso non lo ha sostituito per inserire un altro difensore, Luperto, dopo l’espulsione di Hysaj): buono l’inserimento del tedesco.
I segnali di crescita visti a Roma si erano interrotti sabato scorso e il filo è stato ripreso contro la Lazio, con il Napoli che ha riproposto gioco e personalità, a cominciare dal suo capitano, freddissimo quando ha saputo concretizzare la prima palla gol dopo una manciata di minuti. Non ha cercato il tiro a giro, ha voluto spiazzare i difensori laziali e ha firmato una rete su azione a Fuorigrotta dopo quasi un anno. Immobile, l’amico del cuore di Lorenzo, si è smarrito dopo il rigore e per dare la scossa alla prima linea Inzaghi ha effettuato il cambio Correa-Caceido mentre il Napoli provava ad azionare il contropiede per il raddoppio e accedere alla semifinale. In inferiorità numerica Callejon, Milik e Insigne si sono sacrificati con costanti rientri. Il Napoli rivelava però un limite, anzi due: calava di intensità e si faceva schiacciare dai biancocelesti. Gattuso puntellava il lato destro con Elmas e sollecitava gli azzurri a uscire dal fortino. E, quando questo accadeva, Milik colpiva di testa il palo. Nei momenti di sofferenza c’è stato il cuore di Napoli, dei suoi giocatori e dei suoi tifosi, sollecitati con ampi gesti da capitan Insigne a dare sostegno perché la fatica si faceva sentire. La Lazio non si fermava, il suo assalto faceva tremare il San Paolo. Le forti emozioni non erano finite in questo batti e ribatti, in questo finale in cui non si rispettavano più ruoli e geometrie: in due minuti sarebbero arrivati la traversa di Immobile, il palo di Lazzari (con gol annulato ad Acerbi per fuorigioco) e un altro legno degli azzurri, quello di Mario Rui.
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Una grande notte, ci voleva. E domenica sarà quella del ritorno di Sarri a Napoli dopo 20 mesi e sei giorni. Si congedò dal San Paolo con un inchino, conclusa la partita col Crotone, l’ultima delle sue 98 vittorie sulla panchina azzurra (percentuale del 66,6 per cento, la più alta nella storia). Appariva ancora incerto il suo destino, anche se era chiaro che non sarebbe rimasto a Napoli dopo un eccellente triennio, con la valorizzazione della squadra, la scoperta di nuove attitudini dei suoi giocatori (Mertens, ad esempio: da ala si trasformò in bomber), le tre qualificazioni Champions e lo scudetto sfiorato, a 28 anni dal secondo trionfo con Maradona, definito ieri da De Laurentiis «un handicap, un minus e non plus» perché dopo Diego nessuno avrebbe potuto accontentare la gente. Opinabile punto di vista. Maurizio, dopo 20 mesi e sei giorni, non dovrà aspettarsi applausi: andare alla Juve è stato un tradimento. E ora, poi, la fiamma del Napoli si è riaccesa.