Il suo contratto scade il 30 giugno: ha parlato con De Laurentiis però non ha ancora rinnovato. La sua decisione determinerà le strategie di Giuntoli per l’attacco
NAPOLI – C’è un «prima» e c’è un «dopo»: e questa storia, quella di Dries Mertens, comincia proprio quando il calcio sta per fermarsi, il primo marzo, quando Napoli-Torino s’è appena consumata, e in prossimità di uno stop che si intuiva ma che pareva fosse lontano. C’è poi quel «durante» la pausa che forse sposta un po’ le valutazioni di quegli istanti in cui, seduto intorno ad un tavolo del ristorante con vista panoramica, Dries Mertens ha ricominciato a parlare con se stesso, entrando in un labirinto dal quale non è ancora uscito. Perché quel pomeriggio di una domenica apparentemente normale, emerse la volontà di starsene ancora assieme, altri due anni, e di immaginarsi Re di una città dalla quale non sembrava volesse più staccarsi: in Cina avevano già posto limiti agli ingaggi, abbassando il tetto su livelli normali, e poi era esploso prepotentemente proprio a Wuhan quel virus che qui guardavano con sufficienza, persino con leggerezza, perché certe tragedie le avverti seriamente quando ti entrano nella carne. C’era ancora il calcio, in quelle ore, e Mertens dentro al pallone andò a mettere la testa per guardarci: biennale, quattro milioni netti a stagione, un bonus alla firma di due milioni e mezzo e di cinquecentomila per gli eventuali gol segnati e per l’auspicabile qualificazione in Champions. Insomma, dodici milioni e mezzo in ballo.
Il calcio si è fermato il 9 marzo, non c’è stato modo di parlarsi ancora, è rimasto tutto sospeso, chiaramente, e il contratto – che non è come quello federali ma contiene un numero di pagine e di clausole che De Laurentiis ha importato sin dal primo giorno in cui è approdato nel calcio – ha semplicemente bisogno di una firma.
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