Arek Milik il protagonista di un romanzo russo, o se volete la reincarnazione di un calciatore che deve portare un fardello enorme nella nuova vita per pagare gli errori di quella precedente: dopo un palo e una traversa su punizione, segna un gol scommettendo sulla propria classe, ma non basta, perch l’arbitro Giacomelli non vede un rigore grande come il Vesuvio e sull’azione conseguente Josip Ilicic pareggia una partita che l’Atalanta meritava di perdere.
Dopo quello col Liverpool è stato il miglior Napoli visto, di nuovo spavaldo, aggressivo, e col solito difetto dello sperpero e/o sfortuna milikiana. Ma sotto un pareggio assurdo c’è la prospettiva di un Milik tornato a minacciare le aree avversarie con decisione, irruzioni e tanta presenza. Superata la crisi d’innesto, è finalmente apparso centrale non solo per il gol, ma per come è stato nel gioco: per le palle smistate, e per i disagi creati alla difesa di Gian Piero Gasperini, interpretando al meglio la sua forza, finalmente direzionandola man mano che il tempo di gioco passava nella giusta direzione: la porta di Pierluigi Gollini, trovando il gol. Prima un palo di testa a poca distanza, mancando poi il giusto appoggio in porta, dopo uno spicchio di traversa su punizione a riprova che è il migliore nel tirarle e poi finalmente il gol, un gol di intelligenza, classe, con zelo nei piedi e gelo nei pensieri.
Milik ha mostrato di saper coniugare il tempo e i movimenti, oscillando tra le linee prima di essere servito da Fabian Ruiz che lo sente guardando a orecchio, lo immagina andare lungo un corridoio che sta per creare in un lancio alla Andrés Iniesta che lui controlla di sinistro saltando Gollini con una palombella sottile, un sombrero a basso voltaggio, evitandolo con la leggerezza del vento per poi appoggiare in porta col destro. A colpire il passaggio da un piede all’altro è l’accompagnamento di una freddezza da abitudinario, un colpo da biliardo con le luci soffuse, con la palla che scorre morbida sul panno verde, mentre il giocatore Milik accarezza con la stecca e dosa il giusto effetto, col povero Gollini che si sbraccia scomposto come un inseguitore di galline, non riuscendo a trovare né la palla né a fermare il polacco, che a testa alta accompagna anche con lo sguardo lo scorrere in porta, come se il tiro avesse bisogno di una benedizione ulteriore dopo i gol mancati in precedenza, come se non bastasse tutta l’esperienza e la classe, i giusti tocchi e lo stile, e la bellezza del pensare un dribbling così, prima del gol, come se l’eleganza e l’ispirazione dovessero essere raccolte in un panno di fortuna capace di battere i tiri precedenti oltre i più disparati imprevedibili eventi pronti a scongiurarne l’andata in porta.
E così Milik può urlare un finalmente e sentirsi un po’ assolto dal peso degli errori che sono mancati gol ma non privi di bellezza, perché l’attaccante polacco l’impegno ce lo mette, e anche la spinta, e la forza, e l’ardire di andare a cercare tutti i palloni possibili, ma pare che prima di un gol debba pagare il fio di un debito con la fortuna e la geometria e chissà che altro ancora.
Diciamo che deve lavorare il doppio e che se non ci fosse questa spartizione con i legni ora non saremmo qua a recriminare tanto sulla svista dell’arbitro Giacomelli su come Kjaer abbraccia e stende Llorente nell’area atalantina e di come poi Ilicic pareggi. In mezzo c’è anche una insicurezza difensiva tra il moderato e l’ambiguo che è apparsa in due tre momenti aggirandosi come un fantasma durante i quasi cento minuti di gioco. Il resto è incandescenza, giustificata, ma che non ha portato a nulla.
Rimane, invece, la prestazione di Milik, che si fa largo nell’attacco del Napoli, dimostrando il suo peso, la sua voglia di giocare e di provare a consumare il debito verso gli errori, i legni e i centimetri che lo separano dal gol, cercando di scrollarsi il titolo di «sciagurato» che Gianni Brera diede a Egidio Calloni e che noi cominciavamo a cucire sulle spalle dell’attaccante polacco. Un gol alla volta, una giocata alla volta, Milik, sta risalendo la cima dell’importanza, rimettendosi al centro dell’attacco, puntando le aree avversarie e provando a inchiodarsi nelle formazioni nel via vai del turnover.
Gli manca ancora un pizzico di continuità e una bella dose di veleno, tutta questa crescita con il conseguente sperpero merita un perfezionamento, con l’uscita dalla dispersione e la definitiva assunzione di precisione che serve al Napoli in partite come questa, dove si ritrova un pareggio che è una colica renale rispetto alle palle giocate e alla azioni da gol prodotte, e al gioco macinato. Per questo Milik deve abbassare il numero di legni e accrescere quello di gol, è qui lo scarto che manca nei salti del Napoli, nella convincente prospettiva di avere il fisico e il talento per una maggiore precisione, per salvare il San Paolo da sere amare e punti perduti.
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