Città e tifoseria spaccate nel giudizio sul proprio capitano. Giallo su una frase liquidatoria del padre su Ancelotti. E sullo sfondo il ruolo di Mino Raiola
Il buio, le voci, il mistero: cosa resta di quella notte crudele e assai maligna, dell’oro di Napoli che langue nella solitudine o semmai in un limbo? E quando verrà l’estate, forse anche prima, riecco che s’avvertirà anche il gelo di quegli istanti, i fischi assordanti che sanno di sentenza, una frase sfuggita al papà – nel ventre del san Paolo – e poi smentita, le deduzioni su questa Storia che non è per niente insolita, è lo spaccato d’un vissuto che ritorna e che ha protagonisti e interpreti d’uno sceneggiato a cui manca soltanto l’epilogo.
Si resterà a scrutare quell’orizzonte balordo, per capire cosa sarà di Insigne e perché, dove e quando sia cominciato quest’ostracismo (quasi) di massa, se abbia ragioni delle quali si può fare anche a meno: ma Napoli è spaccata e ora si notano i cocci. Insigne è lo scugnizzo della porta accanto ma anche un «reietto» – mai un vero Re – a cui non è mai stato perdonato né l’ultimo e né il prossimo tiro a giro; Insigne è quello che con l’Athletic Bilbao lanciò la maglia in terra, che con il Besiktas pianse in panchina dopo aver sbagliato un rigore; che a Reggio Emilia, un mese e mezzo fa, prese il miracolo e parlò quasi come Balotelli: «Perché sempre a me?».
DETONATORE – E’ la pancia che a volte spinge il cervello, o magari no, c’è dell’altro: però in questo vulcano ora c’è questo e quell’altro mondo e pure un attimo di incontrollabile insofferenza di Carmine Insigne, il papà dello scugnizzo, che mentre se ne va con la sua dose di malinconia brucia le resistenze e cede con «Ancelotti è un pacco» che viene poi puntualmente negata. Ma si era già aperta la riffa, in quel momento, quando Napoli-Arsenal aveva emesso la sentenza e intorno al falò non c’era che una 24 simbolicamente al rogo.
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