Cattivo come pochi. Fabián Ruiz entra e cambia la partita.
C’è da lottare, in un campo allagato, sotto una pioggia
che sembra allacciare il passato della città e gli uomini
che andarono a Buenos Aires a fondare Boca Juniors e River Plate,
genovesi, un oceano in mezzo, e un campo che gli somiglia. Ruiz
corre e nuota, corre e segna, combatte mentre il pallone
singhiozza, i passaggi si interrompono, sfoggiando un repertorio di
resistenza da trincea. Mostrando un carattere che era apparso solo
a strappi, e che invece a Genova appare in tutta la sua forza.
Sembra un cingolato quando avanza dove i piccoletti e leggeri del
Napoli incespicano, balbettando.
Ruiz è scoppiettante, riuscendo anche a sfoggiare colpi di
classe. Il suo ingresso in campo al posto di Zielinski è il
colpo che cappotta il Genoa di Ivan Juri, che aveva tenuto
l’aggressività del Napoli, passando in vantaggio su un
errore di Hjsay che ha favorito la testa di Kouamè. Il resto
era pioggia e densità. Il Genoa chiuso a tribù e il
Napoli in assedio ma con molta imprecisione, nelle gambe tutta la
partita in salita sul PSG. Ma quando tutto sembra bloccato, quando
anche il tempo si aggiunge, esce in modo emblematico Fabián
Ruiz, schizza fuori come la fortuna, un numero giusto, e cambia
tutto, porta la squadra su, avanza nonostante la lingua d’acqua
sulla fascia sinistra, avanza, scende, offrendo soluzioni e
pallone, scansando il contatto con gli avversari o travolgendoli,
c’è un solo comandamento: pareggiare. E soprattutto
salire, e il soldato Ruiz, sale. Dominando la sua parte di fango,
con un coinvolgimento fisico che travalica e supplisce rispetto ai
compagni più esili che scompaiono.
Impossibile tenerlo, sembra aver sempre giocato in condizioni
ostili, in un campo che è di sabbia col pallone che si
blocca, e lui ci sguazza, divertendosi persino, sorridendo per ogni
contrasto vinto, per ogni metro conquistato, c’è da
prendere l’area, quella del Genoa. Sporco, cattivo, e in gol.
Sì, chi altro volevate che segnasse, questa era la sua
partita, e dopo aver rialzato il baricentro della squadra, dopo
essere andato senza remissione su ogni pallone, non poteva che
pareggiarla lui. Spizzata di tacco da parte di Mertens che lo mette
solo in area e Ruiz di sinistro la gira alle spalle di
Andrei Radu, un interno che vale un attico, quello che il
Napoli alza nell’area del Genoa, tutto di carattere. Saltano
schemi e stili, di estetica nemmeno a parlarne, Insigne si tira le
gambe e la buona volontà, Mertens si nasconde, ma
c’è Ruiz, e Allan e Koulibaly, una linea da rugby, che
con perfidia, fisico e buona volontà tiene. Bloccano tutto,
persino le urla di Juri. Mentre Ruiz continua la sua lotta di
resistenza, a volte rude e finanche sopraffacente, a volte con
calma e organizzazione, spezza e riparte, confermando
l’intuizione di Carlo Ancelotti, restituendo fiducia e dando
una forza che era mancata per tutto il primo tempo al Napoli. Il
suo avvelenare ogni pallone modello Allan, anche con
l’irresponsabilità infantile di scoprirsi troppo
è un incoraggiamento alla squadra a non mollare, e persino
dopo il raddoppio, è quello che continua a lottare, senza
tregua. Sovrapponendosi e proponendosi, tanto che Mazzitelli in un
momento di impotenza, stizza e fango gli strappa la maglietta,
nemmeno fosse il grande Zico al quale Claudio Gentile morse fianchi
e maglia. L’impeto di Mazzitelli, la sua frustrazione e il
gesto di maschia gioventù di provare a tenerlo oltre le
regole, raccontano come il sistema Ruiz abbia funzionato a
meraviglia.
From: Il Mattino.