C’è un gol, bellissimo. E c’è una partita memorabile. C’è Victor Osimhen e c’è l’undicesima vittoria consecutiva. «Non lo so dove possiamo arrivare, non ci voglio pensare. Penso alla prossima partita e alla gioia per questa vittoria a Roma». Quando parla, Osi, è tutto il contrario di quello che fa in campo: umile, discreto, attento, prudente. La sua rete è stupenda, ricorda quelle realizzati dai grandi del passato. Nel 1986, il 26 ottobre, il Napoli che poi conquistò il primo scudetto, vinse qui proprio per 1-0 e con una magia di Maradona. Una magia. Come quella di Osimhen. Tutto continua a scivolare facilmente, come su rotaia, senza il minimo attrito, in questo inizio di stagione azzurra. È ancora solo un fughina. Ma la cosa magnifica che Osimhen ha inventato al minuto 80 si sovrappone a tutto il resto, anche perché in qualche modo lo determina. È uno splendido fiore che incanta un Olimpico che era pieno zeppo di passione giallorossa. Un pallone dove si capisce che le scintille non l’hanno abbandonato, e neppure le idee frizzanti, nonostante le quasi cinque settimane fermo per infortunio. È il terzo gol che segna da quando è tornato, uno show continuo. E così il nigeriano si gode un’altra giornata da protagonista, approfittando delle languidezze difensive che in serie A fanno la felicità di ogni attaccante geniale come lui: anche con il Bologna ha segnato il gol della vittoria, nessuno è più spietato di Osimhen. Un cannibale dell’area di rigore, spietato come pochi altri. Mister 140 milioni conferma il suo valore: per farlo partire, De Laurentiis puntò i piedi e tenne altissimo il prezzo. Ad agosto ha detto di no a 100 milioni del Manchester United. E attorno al suo talento il Napoli sogna.
Tutto quello che fa è rapido e leggero. Arriva prima degli altri e riesce di nuovo a saltare l’avversario. In più c’è la voglia di mordere ogni zolla, di trasformare ogni traiettoria a proprio vantaggio, comprese le palle vaganti oppure quelle che sembrano inutili o perdute. Come nell’azione del gol, che comincia con Osimhen che si avventa su Smalling e gli sradica quasi il fiato e finisce con il tiro secco che riempie la rete. Il numero 9 del Napoli sa di avere realizzato un gol di quelli che resteranno, e il suo urlo verso la porzione dello stadio dove ci sono i pochi tifosi azzurri fa impressione, lo si sente nitidamente, come se Victor fosse solo lì in mezzo e in un certo senso è così. Stavolta Spalletti aveva scelto lui, perché con il suo ritorno c’è poco da fare: di ballottaggi ce ne sono pochi là in avanti. La Roma, in difesa, ha fatto a lungo il topo senza lasciarsi ingoiare, cioè senza farsi seppellire di reti, e questo è già un merito. Un dominio assoluto, mai vista una squadra incapace di fare un tiro nella porta. Certo, senza la magia del numero 9 sarebbe stata una sera da 0-0 e invece c’è poco da fare: sono i campioni che fanno la differenza, sono loro che decidono i destini della partite. Molto più della tattica.
In quel bolide c’è dentro un mondo, e una vita da Victor. In quella diagonale c’è l’ essenza del calcio, ossia arrivare al gol nel tempo più breve e nel modo più semplice (dove la semplicità è compiere il movimento più redditizio, non per forza quello più facile) ma facendo sussultare il cuore di chi guarda. C’è l’ acrobazia mutuata dal cinismo e c’è l’estro selvaggio che può agitare solo uno come lui. «Sono tre punti importanti contro un avversario tosto come la Roma, il Napoli si è dimostrato un avversario difficile da battere, noi siamo contenti di quello che stiamo facendo. Ho vissuto un momento particolare in queste cinque settimane lontano dai campi e la dedica è per le mia famiglia, per chi mi è stato accanto in queste settimane in cui sono stato infortunato», dice l’uomo che ha deciso il derby, che ha regalato una notte di gioia ai tifosi del Napoli e ha blindato il primo posto. «Non chiedetemi dove possiamo arrivare, non lo so. Ragioniamo partita per partita, questa è l’unica cosa che conta. E poi vedremo dove possiamo arrivare».
C’era un tifoso particolare ad ammirare le sue gesta. Il nuovo ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, ospite allo stadio del presidente De Laurentiis: «Sono stato per la prima volta a vedere il Napoli dopo tanti anni e ho gioito per la splendida vittoria. Ho visto una squadra ben organizzata tatticamente ma soprattutto con tanta voglia di vincere. Il gol di Oshimen è stato spettacolare». Vero, spettacolare. Anche perché fino a quel momento non aveva brillato. Ma Spalletti ha avuto l’intuizione giusta: tenerlo in campo. Già lo scorso anno, contro la Lazio, Lucianone ebbe lo stesso fiuto, tenendo fino alla fine sul terreno di gioco, Fabian Ruiz.