In comune una cosa ce l’hanno: la voglia di spaccare il mondo. E alla loro maniera, ovvero spesso ignorando i compagni di squadra, peccando di egoismo, preferendo la giocata individuale al nobile passaggio scacciaguai. Mou e Spalletti li hanno in cura da poco più di un anno ma i bomber sono tutti uguali, anche quelli di adesso: la palla la danno proprio sotto tortura e se possono provano a risolvere le questioni in solitudini. Eccola la supersfida che accende l’Olimpico, quella tra Abraham e Osimhen. Il calcio lo fanno le persone, i campioni più delle tattiche, gli individui più delle strategie. Nessuno la prenda a male ma Roma-Napoli non sfugge alla regola, è un incrocio di destini a cominciare da questo tra i due attaccanti, la spina dorsale di una sfida che racconterà molto del futuro di questo campionato, non solo di Roma e Napoli. Sono entrambi grandi, grossi e votati alla specializzazione estrema, hanno maniere simili di annusare il gol, di partecipare alla partita, di connettersi alla squadra. Non potrebbero giocare assieme perché non sono sovrapponibili: se c’è l’uno non potrebbe essercene un altro nella stessa squadra.
L’azzurro è un rapace, anche se Luciano sta provando a trasformarlo, mentre Abraham negli ultimi tempo sta provando un po’ di più a partecipare alla costruzione del gioco, anche senza grandi risultati. In un tempo in cui vanno molto di moda i falsi 9, due vere punte sono merce rara. E loro lo sono, quelli vecchia maniera. Che possono anche sonnecchiare per un’ora intera, ma al primo pallone colpiscono e affondano. Abraham non ha né una visione di gioco sufficientemente raffinata né un gioco spalle alla porta tale da poter pensare di trascinare da solo la Roma nella trequarti avversaria. E nonostante tutto ci prova sempre. Osi, invece, fa reparto da solo: generoso come pochi, i suoi (tanti) infortuni sono tutti la conseguenza della sua generosità, della sua voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Anche quello col Liverpool: sapeva di avere un problemino, ma lo ha disinnescato pur di esserci con i Reds, ha finto che non ci fosse. Ha spaccato il match, ma quel primo tempo gli è costato 25 giorni di stop. Osimhen ha giocato 4 partite e 241 minuti meno del romanista, ma ha segnato già di più. L’attaccante di Londra, cresciuto al Chelsea, ha firmato solo due reti e l’ultima è stata realizzata il 12 settembre all’Empoli. Non segna da ben sette partite, insomma. Che per questi cannibali dell’area di rigore sono quasi simili a un’era geologica. Osimehn è a quota tre reti, ma due gol li ha fatti solo nelle ultime due partite in cui è sceso in campo, con l’Ajax e il Bologna in meno di quattro giorni: sono il simbolo perfetto del confronto tra i due attacchi, sono lo specchio dei grandi attaccanti di questo tempo. Il Napoli è il migliore attacco della serie A, con 25 gol, la Roma ne ha fatti solo 13 di reti. Cosa che fa saltare i nervi a Mourinho che l’idea di essere considerato un difensivista proprio non gli va a genio. Anche se davvero i giallorossi segnano col contagocce: tra le prime sette del campionato, sono quelle che lo fanno di meno. Eppure Mourihno è ad appena 4 punti dal primo posto.
Victor e Tammy, ovvio, non sono mica contenti del bottino di gol fatti fino ad adesso. Però il nigeriano ha l’alibi del lungo infortunio e il fatto che stasera torna a essere titolare in campionato dopo quasi due mesi: l’ultima volta proprio all’Olimpico, con la Lazio, il 2 settembre. Sono senza dubbio i trascinatori dei rispettivi attacchi, con due stelle non di poco conto a giragli attorno, come se fossero dei satelliti: Raspadori e Belotti. Hanno fame di gol, farebbero qualsiasi cosa per mettere a segno la rete decisiva della gara di questa sera. Altro che assist: non gliene importa nulla di queste cose. Attaccanti con il nove sulle spalle, l’area come recinto e il gol come unico orizzonte.