Inviato a Castel Volturno
L’uomo non cerca vendette. Ma chissà se è come sempre solo una partita di calcio o porta dentro di sè qualcosa d’altro. Luciano Spalletti si avvia al suo ritorno all’Olimpico, che già un anno fa gli riconobbe il ruolo “sacro” del nemico sommergendolo di fischi. Non è stato facile dimenticare, per Lucianone. Eppure sono ormai passati cinque anni. Ha vissuto una ultima stagione romanista piena di rancori e tensioni, in una città divisa nel gioco perverso del “tu con chi stai?”. Ha fatto tanto nel club giallorosso, è stato quello che è rimasto seduto per più tempo su quella panchina negli ultimi 25 anni.
Eppure, resta l’uomo dell’addio del Pupone. Un marchio. Cosa che Spalletti non ha mai mandato giù. Ha fatto i conti con Totti e la sua crisi di mezza età perché il 10 si è quasi ritrovato preso allo sprovvista dall’imminente cambio di vita. Spalletti, lì, invece è stato lasciato solo a difendere il suo lavoro e ha scelto la legittima difesa facendo quello che doveva fare. Lui fa sempre quello che deve fare. Come ha fatto a Napoli appena arrivato e come sta facendo adesso. «Ci sono io», sembra dire a raffica il tecnico di Certaldo. Come in questa estate dello scontento, quando è stato lui ogni volta a mettere la faccia con quel «vi farò innamorare di nuovo del Napoli» che sembrava per molti una specie di eresia. Spalletti e il Napoli, Spalletti e la Roma. Due vite. Quell’ultimo anno nella Capitale ha cambiato per sempre la sua percezione del mestiere di allenatore: ha recitato la parte del cattivo, quello che neppure parlava al capitano. Forse, neppure era vero. Ma chissà se col tempo Totti ha capito che è sempre così, non è stata mica colpa di Spalletti: quando vedi la nave che parte senza di te, realizzi che non hai più mari. E se sei stato a lungo il capitano di quel viaggio ti senti un escluso e dai la colpa al mondo. Quando non c’è colpa.
Lui lo ripete sempre: a Roma non mi sentirò mai un nemico. D’altronde, come potrebbe sentirsi tale? Venne espulso dall’arbitro Massa, un anno fa. È la sua partita, una specie di film. Perché quest’anno tutti faranno il tifo contro di Luciano. Perché il resto d’Italia spera che arrivi da parte di Mourinho il primo stop per Spalletti (Special One è la bestia nera del tecnico toscano che contro il portoghese non ha mai vinto) che consentirebbe di creare una grande ammucchiata in cima alla classifica: la Roma salirebbe a un passo dal Napoli se dovesse vincere. Dunque, vero: c’è il cuore, ci sono i sentimenti. Ma meno male Roma-Napoli è anche una partita vera, con in palio qualcosa di ben più importante dei ricordi, delle vendette, dei fantasmi del passato. La cosa più importante di tutto sono i tre punti. Anche se quando ha vinto per 6-1 sul campo dell’Ajax, non a caso ha ricordato i 7 gol presi a Old Trafford con il Manchester United. Perché le ferite rimediate con la Roma, per lui, bruciano di più.
A Napoli sogna di riuscire in quello che non è riuscito all’Olimpico: vincere lo scudetto. Motivo per cui si morderà la lingua prima della gara: quel che conta adesso sono le vittorie sul campo non quelle altrove. E allora eccolo che si prepara ad allineare i pensieri con rigore tattico, per non farsi assalire dalla tentazione della nostalgia. E anche di un po’ di rabbia. Deve solo pensare azzurro. E sorridere, anche a denti stretti se è il caso. A nessuno importano le faide, se ci sono state. Importano la vittoria in palio domenica sera. Perché questa gara con la Roma è oggi, solo oggi. E può valere tanto in questa lunga ricorda allo scudetto. Lucianone sbarca da primo della classe, con il sogno di poter restare lì in alto fino in fondo. Cosa che gli è riuscita solo in Russia e mai in Italia. Sarà per lui tutto diverso, probabilmente.
Per la prima volta nella sua testa non ci sarà solo l’ossessione del passato, di Totti, degli 87 punti nell’anno dell’addio del Pupone, dei tanti secondi posti. No, i sobbalzi dell’anima riguarderanno solo la possibilità di volare più alto, di inseguire il sogno dello scudetto. Roma è stata sua città, ora è Napoli la sua città, il suo posto dell’anima. Se lì a Roma è stato un reietto, qui adesso è uno degli idoli. Dove ha gestito in maniera perfetta altri addii eccellenti come quelli di Mertens e Insigne ma in maniera indolore, quasi con l’anestesia totale. Non è una partita normale, ma ci arriva dopo giorni belli, gonfi di vittorie e pieni zeppi di felicità. E dove sa che comunque vada a finire non ci saranno drammi da vivere.