«Questo Napoli è uno spettacolo ed è una squadra a un passo dalla leggenda: è sulla scia delle grandi del passato, dell’Ajax di Michels, del Barcellona di Guardiola e del mio Milan degli imbattibili. Non mi stanco mai di vederlo giocare». Arrigo Sacchi è travolto dall’entusiasmo. «Come non potrei? C’è stile, c’è orgoglio, c’è spirito di appartenenza, c’è la bellezza. E c’è un allenatore che ha messo al centro di ogni cosa le idee. In un paese dove sappiamo solo essere degli approfittatori, Spalletti punta sul merito, sulla strategia e non sul tatticismo». Il tecnico che ha rivoluzionato il calcio e portato il Milan in cima al mondo è stregato da questa meravigliosa creatura che si chiama Napoli.
Sacchi, cosa sta dimostrando questo Napoli?
«È una lezione per tutti: le idee valgono più dei soldi. Quello che ha fatto De Laurentiis questa estate è qualcosa di straordinario: ha preso dei semi-sconosciuti e li ha inseriti in un progetto dove c’era una visione. Quella che manca a tanti club. E il resto lo ha messo quel genio di Luciano».
Quale il merito principale di Spalletti?
«Ha fatto un regalo a questi ragazzi: ha donato il gioco. È quello che esalta i singoli, quello che li fa sentire più bravi di quello che sono, li fa sentire al sicuro. Nessuno, quando c’è il gioco che ha creato Spalletti si sente solo in campo: se hai palla, hai cinque o sei soluzioni alternative, se sei in difficoltà sai che il soccorso è a portata di mano. Sa come si dice? Il gioco non si stanca mai, non va mai fuori forma e non si infortuna mai».
Sta descrivendo una squadra che non deve temere nulla quest’anno?
«Calma. C’è un rischio. Quello che subentri la presunzione. Domani c’è il Liverpool che è lo specchio in cui il Napoli deve incominciare a riflettersi. Finché tutti correvano, avevano fame, si sentivano parte del collettivo, hanno dominato. Appena il singolo ha iniziato a pensare di essere più bravo del gruppo, ecco che è arrivata la frenata. Ad Anfield il Napoli può fare un altro passo in avanti, anche perché arrivare primo nel girone è un altro segnale importante di crescita».
Dove può arrivare in Champions?
«Non sono un veggente, guardo il calcio. E se continua in questa maniera la semifinale è il traguardo minimo. Il Napoli di adesso è uno spettacolo di bellezza e impegno: tutti cercano di dare il meglio, è una squadra sinergica, dove c’è comunicazione. Siamo all’interiorizzazione, ovvero tutti hanno assimilato quello che dice Spalletti».
Però poi ci sono i campioni.
«Non sono d’accordo. Kvara, Osimhen, Lobotka sono fortissimi, certo ma fuori da questa organizzazione perfetta che ha dato Spalletti io non sono sicuro che sarebbero altrettanto fenomenali come lo sono adesso. È il gioco che è il grande campione in questo Napoli. E in Italia poche volte si è visto qualcosa del genere. Sarri, un po’ Gasperini e spesso Pioli sono interpreti di questa visione. Ma questo Napoli adesso è più avanti di tutti: ma davvero uno può pensare che altrove Politano o Lozano possano raggiungere il livello che stanno mostrando adesso? È l’organizzazione che ha dato Luciano che li fa esaltare».
Un Napoli che strappa applausi in giro per l’Europa, non proprio una cosa di tutti i giorni?
«Perché in pochi fanno quello che fanno gli azzurri: è qualcosa di veramente notevole. Di moderno, direi. Tutti attaccano e tutti si difendono, tutti danno una mano, tutti si sentono uguali alla stessa maniera. C’è uno spirito di squadra che non è solo a parole. E che non deve mai venire meno, altrimenti finisce tutto».
Perché questa svolta di Spalletti a 63 anni?
«Anche lui ha fatto un salto in alto. È un direttore d’orchestra unico, per abilità di tenere la scena e per la capacità di spiegare ai suoi le cose da fare. Tutti sono uguali per lui, perché ha il gioco al centro di ogni cosa».
In campionato si può sognare?
«Direi di sì. Ho visto la gara col Sassuolo: anche Osimhen è profondamente diverso rispetto, anche lui è cresciuto nel gioco di questa stagione. Per avere successo ci vogliono tre cose che il Napoli ha tutte: motivazione, spirito di squadre e per l’appunto il gioco. Per me sono gli ingredienti per arrivare al traguardo finale».
Insomma, cosa deve temere il Napoli?
«L’Italia ha fatto un capolavoro vincendo l’Europeo, poi è successo qualcosa e non siamo più riusciti a vincere neppure contro i salesiani… Il pericolo è quando si comincia a giocare per se stessi, pensando di essere arrivati, smettendo di pensare agli altri, ai propri compagni, come se il calcio fosse un gioco individuale e che non si gioca in undici. È l’unica cosa che temo di questa meraviglia chiamata Napoli».