E adesso vediamo chi dice ancora che mister Sarri non ha vinto
niente. Sì, d’accordo, non è il caso di
ricordarci di lui proprio alla vigilia della sfida con la
Fiorentina, la squadra contro la quale «abbiamo perso in
albergo» – parole sue – uno scudetto praticamente in tasca:
ma che volete, l’uomo con la tuta è una specie di
supereroe dalle mille risorse, un mirabolante Re Mida che vince
anche quando perde.
E così, ottenuta la panchina del Chelsea a dispetto
dell’impresa azzurra soltanto sfiorata, Maurizio Re Mida si
prende ora una straordinaria rivincita su tutti i miscredenti della
grande bellezza applicata al calcio (a cominciare dal pragmatico ma
tristissimo Allegri, of course) conquistando nientemeno che gli
enciclopedici della Treccani. I quali con un tweet hanno comunicato
ieri che la parola «sarrismo» è ufficialmente
ammessa tra i neologismi della lingua italiana. Insomma bel gioco,
gioco palla a terra, tiki taka estremo, e via via sarreggiando
(beh, a questo punto il neologismo lo decliniamo anche noi): tutto
quello che abbiamo amato (e in verità cominciamo a
rimpiangere) della filosofia dell’allenatore (ex) operaio, oggi
ha un crisma che lo farà sopravvivere a tutti i campionati e
tutti i vocabolari.
Bella soddisfazione, per lui e per il popolo dei duri e puri che
insieme a lui, tra gli stadi e le tastiere, hanno teorizzato la
famosa rivoluzione: un Palazzo per lo meno è stato
conquistato, vincere non è più l’unica cosa che
conta e ora si tratta di completare l’opera (vincere
divertendo, l’essenza del credo sarrista) anche se protagonisti
e scenari sono intanto radicalmente cambiati. Nell’anno primo
del dopo Sarri – lo ricordano su uno dei tanti siti ispirati al
profeta i suoi adepti – rivoluzione è per esempio disertare
lo stadio contro la politica dei prezzi avviata dal patron De
Laurentiis. E così domani pomeriggio saranno poche migliaia
– al massimo ventimila, dalle tribune alle curve – i tifosi attesi
al San Paolo per sostenere la squadra impegnata in un confronto
obiettivamente difficile. Giusta o sbagliata che sia, questa
«rivoluzione» – o più banalmente protesta –
segna una frattura importante e molto dolorosa tra la tifoseria e
la società. Trentacinque euro per una partita che non
è neanche di cartello (quanto dovremo pagare allora per
vedere la Juve, o il Psg?) rappresentano davvero una cifra elevata
per il tifoso della curva; e dichiarazioni di disamore come
l’ultima di De Laurentiis, che voleva spostare le partite di
Champions al San Nicola di Bari, diciamo che il tifoso medio non si
sarebbe aspettato di sentirle pronunciare dal proprio presidente.
Sta andando così, invece, e tutto lascia immaginare che non
è neanche finita: è amaro che accada nel momento in
cui la squadra, passata da Sarri-che-non-vince ad
Ancelotti-pigliatutto, potrebbe trovarsi nelle condizioni migliori
per il salto di qualità atteso da trent’anni; allarmante
che accada in un momento delicato come la ripresa del campionato
dopo la pesante sconfitta di Genova.
From: Il Mattino.