Tutto il cuore di Koulibaly: «A Napoli ho trovato la pace»


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Lunga lettera di Kalidou Koulibaly al portale “The Players Tribune” con il difensore azzurro che racconta e si racconta, dagli esordi in Francia fino all’avventura napoletana. «Ho cominciato a giocare da bambino, tra la Francia e il Senegal. Nel mio quartiere c’erano altri bambini figli di altri immigrati e si giocava tutti insieme, senza distinzioni. Nel 2002 guardavamo le partite dei Mondiali della Francia con i compagni di classe che arrivavano da ogni parte dell’Africa, il Senegal vinse contro i francesi e a casa mia si fece grande festa. Questo è il calcio. Puoi avere tutto nella vita, tutti i soldi che vuoi, ma non puoi mai comprare amicizia, famiglia e felicità».

Impossibile non parlare degli episodi razzisti vissuti in Italia. «Tanti mi fanno domande, ma credo che lo capisci solo quando lo vivi sulla tua pelle. È dura da vivere, è difficile da spiegare, la prima volta con  la Lazio mi chiedevo se facessero sul serio, io ero lì solo per fare il mio lavoro che amo con tutto me stesso. L’arbitro mi venne incontro e disse “Sono con te, non preoccuparti, dimmi se vuoi continuare”, ma finire la gara era l’unica cosa che volessi nonostante i cori incessanti», ha aggiunto. «Un bambino che era allo stadio, a fine partita, mi disse “Mi dispiace” e fu importante per me. I bambini vedono il mondo in altro modo».

«Prima di Napoli ero preoccupato: non parlavo l’italiano e avevo sentito tante brutte storie sulla città. Quando Benitez mi chiamò pensai ad uno scherzo, poi chiesi al mio agente di portarmi in azzurro. Non sapevo nulla sulla città, sulla squadra, ma conoscevo Rafa e mi impressionò la sua chiamata», ha continuato Koulibaly. «De Laurentiis pensava fossi più alto la prima volta che mi ha visto, scherzò sul prezzo pagato al Genk e io gli dissi di pagare il prezzo per intero e che quei centimetri mancanti glieli avrei restituiti in campo ad ogni azione. Oggi non sono più né senegalese né francese, quando torno a casa dalla mia famiglia sono “il napoletano”. Napoli è una città che sa amare, mi ricorda l’Africa per questo. Mi considerano un figlio, da quando sono lì sono un uomo diverso, davvero in pace con se stesso».

Un doppio amore “nato” in città. «Sono felice che mio figlio sia nato a Napoli. Il giorno del parto di mua moglie giocavamo col Sassuolo, Sarri non voleva farmi andare in clinica, poi mi chiese di rientrare dall’ospedale per giocare. Quando arrivai al San Paolo di corsa mi accorsi che mi aveva messo in panchina. Avrei voluto piangere, ma oggi ci rido: dà il senso di cosa significhi per me Napoli e il calcio, bisogna vivere quella città per capirlo».

From: Il Mattino.

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