Nella storia di Diego Armando Maradona il Napoli e Napoli entrano in un giorno del 1978. Ed è questa storia che Il Mattino ripercorre nel libro “Diego è vivo”, in regalo ai lettori con la copia del quotidiano giovedì 25 novembre, nel giorno dell’anniversario della morte del Capitano degli scudetti. È un omaggio al Campione con le testimonianze, tra gli altri, dello scrittore Maurizio de Giovanni, del cantante Nino D’Angelo, del ct della Nazionale Roberto Mancini, di Gianfranco Zola e Daniel Bertoni, dell’ex presidente azzurro Corrado Ferlaino e di Luciano Spalletti, il tecnico che comanda con gli azzurri la classifica di serie A.
Maradona e il Napoli, un racconto che comincia sei anni prima della firma del contratto, appunto nel ‘78, quando Gianni Di Marzio, giovane allenatore della squadra azzurra impegnato in un tour calcistico in Sud America, è folgorato da quel minorenne attaccante dell’Argentinos Juniors. Prega i suoi accompagnatori di mantenere il segreto sul suo viaggio, poi contatta il presidente Corrado Ferlaino e gli suggerisce di acquistare El Pibe e “parcheggiarlo” presso una squadra svizzera in attesa che in Italia si riaprano le frontiere (sarebbe accaduto due anni dopo). L’operazione non va a buon fine, però Di Marzio non molla. E fa spedire una maglia del Napoli nell’albergo di Buenos Aires che ospita la squadra di Maradona, che a distanza di anni racconterà nell’autobiografia “Yo soy El Diego” quel contatto. «Il Napoli era venuto già a cercarmi nel ‘78. Mi avevano persino mandato una maglia nell’albergo dove eravamo in raduno, accompagnata da una lettera in cui dicevano che per prendermi stavano solo aspettando che aprissero le frontiere agli stranieri. Mi invitavano a passare dieci giorni da loro, tutto pagato, mi volevano riempire di regali».
Quella maglia azzurra diventò una promessa d’amore. Diego non poteva saperlo. L’Europa l’aveva conquistata nell’82 firmando per il Barcellona, ma due anni dopo si aprì il più esaltante periodo della sua carriera, quando appunto passò al Napoli. Perché Maradona è stato il Napoli e il Napoli è stato Maradona, fin dal 5 luglio dell’84, il giorno della sua presentazione in quello stadio che oggi porta il suo cognome. Dedicò un pensiero «ai ragazzi poveri di Napoli: voglio diventarne l’idolo perché loro sono come ero io quando vivevo a Buenos Aires». Due anni dopo, quando nacque Diego Jr, quelle parole vennero strumentalizzate, come è spesso accaduto nella tormentata vita di Maradona. Parlavi di bambini e ora non riconosci tuo figlio? Diego ha riconosciuto Diego Jr, lo ha abbracciato quando il quadro della sua esistenza gli è apparso finalmente chiaro, tra ciò che aveva fatto e ciò che gli restava da fare.
Non può esservi un ordine per le vittorie, però proprio Maradona lo diede nella sua autobiografia quando chiarì: «Conquistare il primo scudetto del Napoli in sessant’anni di storia fu per me una vittoria senza paragoni. Perché il Napoli lo avevamo fatto noi, dal basso, da operai. Era lo scudetto di tutta la città, la gente cominciava a capire che non bisognava avere paura, che non vinceva chi aveva più soldi ma chi lottava di più. Per quella gente io ero il capitano della nave: la bandiera». Con la Seleccion, nel Mondiale dell’86, aveva sfidato l’Inghilterra e vendicato la sconfitta nella guerra per le Malvinas. Con il Napoli lottò contro grandi club e contro il razzismo. I cori e gli striscioni negli stadi del Nord sollecitarono l’orgoglio del Capitano, che si è sempre sentito ribelle uomo del Sud.
Questo è stato Maradona a Napoli e nel Napoli. Non solo le vittorie, ma anche una sfida a chi tuttora negli stadi offende gli azzurri, la storia di una città e di una squadra. Le vittorie possono passare, mai essere dimenticate però. Restano segnali forti di amore e di riscatto come quelli che seppe dare El Diez. Per questo, un anno dopo quella tragedia, siamo qui a ricordarlo. Diego è vivo.